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Gli Stati Uniti applicheranno una tassazione del 20% sui prodotti importati dall’Unione Europea, 25% nel caso delle automobili. I cosiddetti dazi.
Il provvedimento, firmato dal presidente Donald Trump in diretta, riguarda (in diversa misura) tutti i paesi del mondo. Questi si aggiungono a Messico, Canada e Cina cui i dazi erano già stati aumentati fin dai primi giorni di governo Trump.

Sostanzialmente gli esportatori europei, facciamo l’esempio dei produttori di Parmigiano Reggiano, pagheranno il 20% di tasse sul prodotto che inviano sul mercato statunitense. O meglio, a pagare saranno le società importatrici americane, quelle che chiedono la fornitura di prodotto e poi lo rivendono sul mercato. Ciò avrà delle conseguenze immediate e tangibili:
Gli USA matureranno un guadagno diretto in tasse.
Le esportazioni di Parmigiano potrebbero diminuire.
Il costo dei dazi potrebbe essere scaricato, in parte o del tutto, sul consumatore finale. Il che porterà il Parmigiano a costare fino al 20% in più per gli americani.
A questo punto il consumatore americano dovrebbe scegliere, idealmente, di comprare il formaggio del Winsconsin, che gli costa meno poiché è prodotto in patria. E questo dovrebbe essere il grande vantaggio di alzare i dazi.
Dove fa acqua il discorso
Mettiamo un attimo da parte il Parmigiano, sul quale ritorneremo. Consideriamo che questi dazi, seppur in misura diversa, cadono su tutti i paesi e su tutti prodotti. E alcuni di questi non possono essere sostituiti così facilmente (pensiamo alla farmaceutica). I produttori quindi scaricheranno il prezzo dei dazi sul consumatore, si stima che un aumento del 10% dei dazi equivale a una tassa da 1500 dollari per la famiglia americana.
Poi c’è un grande ventaglio di prodotti e beni che, nell’epoca dell’economia globalizzata, vengono realizzati da più paesi in concerto. Molti rientrano nell’ambito tecnologico, dai computer agli aerei. Le stesse automobili, colpite in modo specifico con dazi ancora superiori, vengono costruite in un paese X con materiali che vengono da paese Y:
Se per fare auto importi acciaio, e tassi quell’acciaio, anche le auto che produci costeranno di più.
Quindi sono tutti più o meno d’accordo nel definire i dazi di Trump una leva che farà alzare l’inflazione, cioè il costo della vita. E che a pagare ciò saranno soprattutto le fasce di popolazione più esposte.
È una reazione a catena, non bisogna focalizzarsi solo sul prezzo del singolo prodotto che aumenta. Sale il costo di importazione, di produzione, della materia prima, e questo costo viene scaricato qua e là facendo aumentare altri prezzi.
Poi questi sono i dazi americani, ai quali le altre economie importanti risponderanno in qualche modo, creando incertezza nel sistema economico. Per dire nella giornata di giovedì, dopo l’annuncio dei dazi, la borsa americana ha bruciato 2500 miliardi di dollari.
Tutto questo prepara il campo a un innalzamento del costo della vita, di cui risente in modo più tosto il ceto medio-povero.
È un grosso problema per l’Europa?
Lo è, senza dubbio. Secondo le stime il PIL dell’UE potrebbe calare dello 0,4%, contro lo 0,2% degli USA. La Germania sarà il paese più colpito (-0,5%), mentre l’Italia è esposta in misura media.
Più esporti verso quel paese, più il dazio ti fa male.
Questo crea un distinguo non solo da paese a paese, ma anche a seconda del prodotto che prendiamo a riferimento. Ci sono dei settori che sono decisamente più vulnerabili, poiché fondano una buona fetta del business sull’export negli Stati Uniti:
Automotive: l’UE esporta auto negli USA per 51 miliardi di euro, il doppio rispetto alla Cina.
Macchinari e attrezzature: rappresentano il cuore dell’export italiano verso gli USA (24 miliardi di euro). Il settore dei macchinari industriali e specializzati è il più esposto.
Agroalimentare: l’export italiano di cibo e bevande verso gli USA vale l’11% del totale. Particolarmente a rischio il settore delle bevande alcoliche, che destina agli Stati Uniti il 25% della propria produzione.
More than Prosecco
Nel caso italiano sono tutti molto preoccupati per l’agroalimentare. In realtà il settore dei macchinari e delle attrezzature rappresenta la fetta più consistente delle esportazioni verso il mercato statunitense (circa 24 miliardi, il 38% del totale).
Anche qui però va fatta una precisazione: dobbiamo tenere conto non solo del valore assoluto delle esportazioni, ma anche di quanto pesino gli USA nella percentuale di export di un dato prodotto.
Da qui il problema delle bevande italiane. Per quelle alcoliche gli USA rappresentano il 25% dell’export, quelle analcoliche sfiorano il 30%. Quindi i dazi entrano a gamba tesa su una grossa fetta di filiera produttiva, con conseguenze non solo per i profitti ma anche per i posti di lavoro.
Un’altra teoria
Prima abbiamo parlato di innalzamento del costo della vita, ma potrebbe anche andare in modo diverso.
Il ragionamento è: meno esportazioni verso gli USA = più offerta globale = prezzi in calo nel resto del mondo.
Questo ovviamente riguarda i prezzi, ad esempio, di alcune materie prime come i metalli. Prendiamo il caso dell’acciaio e dell’alluminio: tra il 2018 e 2019 Trump era al suo primo mandato da presidente, mise dei dazi sull’importazione di quei materiali, il prezzo aumentò per il mercato americano mentre rimase più o meno stabile per Cina ed Europa.
Come dovrebbe difendersi l’Europa?
Sicuramente rimanendo compatta nelle negoziazioni con gli Stati Uniti. Pensiamo ad esempio alla Gran Bretagna che non ha ricevuto nessun aumento dei dazi. La tentazione sarebbe quella del si salvi chi può, ognuno a implorare uno sconto ad personam. Il che porterebbe solo a un indebolimento.
Di fatto il piano di Trump dovrebbe essere quello di usare i dazi come una leva politica, e non come misura per risollevare l’economia USA.
La sfida, piuttosto, sarà negoziare esenzioni settoriali, poiché come abbiamo visto i dazi hanno impatto diverso a seconda della tipologia merceologica. Un esempio di strategia diplomatica fu proprio quella che riguardò i dazi sul Parmigiano nel primo mandato di Trump.
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