Sigla
Ben ritrovati, ben riarmati. La principale notizia della settimana, come ben saprete, è la votazione favorevole del Parlamento europeo di una risoluzione non vincolante sul Libro bianco della difesa che la Commissione europea presenterà il 19 marzo, e che conterrà il piano ReArm Europe. In soldoni il Parlamento UE ha dato l’ok al piano di riarmo.
Chiamiamolo placet, un ok più di forma che di sostanza considerato che il piano è stato approvato in altre sedi, non certo nel Parlamento di Strasburgo. Il che merita una sottolineatura, considerato che l’Unione Europea ci sembra sempre un apparato elefantiaco e lento, ma a quanto pare anche capace di scatti in avanti (quando c’è la volontà).
Cosa prevede il piano
Il piano prevede, in pratica, un aumento di 800 miliardi di euro complessivi destinati alla Difesa dei paesi UE, consentendo a questi di contrarre debito pubblico a tal fine. Il che significa più armi, ma anche maggiori investimenti in ricerca e sviluppo nel settore, assunzione di più soldati, e così via.
È un piano controverso, considerato che: i soldi vanno a finire in armi; viene consentito un grosso strappo alla regola del “tenere i conti in ordine”, che sappiamo essere molto cara alla politica UE; viene scavalcato il canonico processo decisionale (che di norma prevede il passaggio in parlamento).

Ciò nonostante la risoluzione non vincolante di cui dicevamo in principio è passata in Parlamento UE con 419 voti a favore, 204 voti contrari e 46 astensioni. Prendendo la questione da un punto di vista italiano, il voto ha creato delle spaccature negli assetti della politica nostrana. Riguardo la maggioranza di governo, gli eurodeputati di Fratelli d’Italia (Meloni) e Forza Italia (Tajani) hanno votato a favore, quelli della Lega (Salvini) hanno votato contro.
Riguardo l’opposizione, è andata così: Movimento 5 Stelle (Conte) e Alleanza Verdi Sinitra (Fratoianni, Bonelli) hanno votato contro; gli eurodeputati del PD si sono spaccati: 10 hanno votato “si” ( quindi favorevoli al riarmo), 11 si sono astenuti dal voto.
La lista di come hanno votato tutti gli eurodeputati dei partiti italiani.
Il PD fa il solito PD
Ci ritroviamo di fronte all'ennesima occasione persa del Partito Democratico, e spiego perché. La segretaria Elly Schlein, nelle giornate precedenti al voto, dettato una linea chiara: ci asterremo dal voto sul riarmo. I suoi alfieri europei, invece, hanno fatto di testa loro, diciamo così. La linea Schlein viene rispettata solo di fatto: la maggioranza degli eurodeputati PD si è, in effetti, astenuta dal voto. Ma parliamo giusto della metà più uno (11 a 10, appunto). Un dato emblematico, credo non casuale, che io leggo così: cara Elly, sei la segretaria e te ne diamo atto, ma il partito non ti segue fino in fondo (al massimo ti viene incontro a metà strada).
Certo lo schierarsi contro il piano di riarmo (perché in fondo astenersi vuol dire essere contro) significa assumere una posizione minoritaria. Ma non è detto che a lungo termine possa rivelarsi una scelta “politicamente conveniente”. Con ciò intendo che, dovesse rivelarsi (questa del ReArm Europe) un’idea poco felice, ti posizioneresti tra quelli che all’epoca non l’hanno votata.
Buoni o cattivi
Non si pensi ingenuamente che il piano di riarmo serva nell'immediato a dare un sostegno concreto all'Ucraina sul campo di battaglia. Prima che gli 800 miliardi si traducono in maggiore potenza militare passeranno anni. Al massimo è un messaggio di tipo diplomatico: l'UE è viva e se vuole mette il coltello tra i denti, ne tengano conto USA e Russia.
Quindi, per come la vedo io, essere contrari a investire questi soldi in armamenti non equivale ad abbandonare, moralmente parlando, la causa Ucraina. Tutta la questione è di una tale complessità che non può essere ridotta a si/no pro/contro. Ma essere contrari al ReArm Europe è una posizione legittima, così come, al contrario, sostenere questo piano non equivale a essere dei guerrafondai convinti.
Sdragionamenti
Che poi i pensieri di questo PD dubito siano così centrati sulla questione morale. Certamente per la corrente pro-riarmo del partito c’è anche il fastidio di una scelta, quella dettata dalla Schlein, comune a quelle dei colleghi di opposizione (AVS e M5S). E quindi l’idea di accodarsi, di non comandare il gioco, di andare dietro a Conte e Fratoianni.
Insomma, questo voto spaccato a metà ha poco a che vedere con il libero pensiero e tanto con la volontà politica di lanciare un segnale alla leadership del partito. Che ne esce indebolita, ovviamente, non fosse altro per l’ennesima conferma che il PD è un partito anarchico, incapace di seguire una linea univoca. In uno dei rari momenti in cui la maggioranza di governo appare seriamente spaccata (si veda Salvini che organizza piazze contro la maggioranza di cui egli stesso fa parte) e con l’ancor più rara occasione di formare un fronte univoco con i colleghi dell’opposizione, il Partito Democratico non ha resistito al solito richiamo dell’auto-sabotaggio.

Letture
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Una piccola consolazione per il PD: il piano di riarmo non ha messo in crisi solo loro.