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Bentrovate e bentrovati. Settimana non semplice per Giorgia Meloni e la sua corte, soprattutto sul fronte estero che è decisamente quello più caldo. L’impressione degli osservatori è che a livello continentale l’Italia stia tendendo a isolarsi, in particolare rispetto ad alcuni temi quali PNRR (piano nazionale riprese e resilienza), riarmo e MES.
Partendo dal primo, ovvero il PNRR: Giorgetti, ministro dell’Economia, è tornato a chiedere in Europa una proroga per completare i progetti del Piano oltre il termine fissato (agosto 2026). L’idea è usare parte di quei fondi per finanziare la difesa comune europea, evitando i prestiti proposti da Bruxelles. Prestiti che sarebbero sì necessari per raggiungere gli obbiettivi del “riarmo”, ma che indebiterebbero ancora di più il nostro paese (che è già tra più indebitati).
L’idea di Giorgetti, usare parte dei fondi PNRR sulla Difesa, è stata bocciata dagli altri Stati, e non ha convinto del tutto nemmeno i partner di governo.
Restando sul tema della Difesa, è stato molto sottolineato il fatto che Meloni non era nel gruppo di leader europei volati in Ucraina sabato scorso con Merz, Macron, Tusk e Starmer (Germania, Francia, Polonia, UK). Tajani, ministro degli Esteri, ha preso male l’esclusione e ha detto chiaramente: “Perché Meloni non c’era? Chiedetelo a lei”.
In compenso Meloni va fortissimo col premier albanese.
Infine c’è il MES. L’Italia è l’unico Paese dell’eurozona a non aver ancora ratificato la riforma del fondo salva-Stati. Una posizione sempre più isolata, che tiene bloccati 68 miliardi. Tajani, un po’ come Giorgetti col PNRR, aveva detto a febbraio che parte dei fondi per il MES si sarebbero potuti usare per la difesa, salvo essere contraddetto più di recente dal suo stesso governo.
Riassumendo: per raggiungere il 2% del PIL investito in Difesa c’è bisogno di soldi che non abbiamo, ma vogliamo evitare a tutti i costi prestiti che indebiterebbero ancora di più l’Italia. Il governo dunque cerca proroghe, spostamenti di fondi qua e là ma senza successo. E ultimamente siamo esclusi da alcuni tavoli che contano.
Sparata grossa
Non allontanandoci troppo dai soldi, in settimana ha fatto parlare un’affermazione della premier riguardo il celeberrimo spread, ovvero il divario tra quanto l’Italia deve pagare di interessi per farsi prestare soldi rispetto alla Germania. Meloni, durante un question time (l’appuntamento in cui i parlamentari possono porre quesiti ai membri del governo sul loro operato) ha detto: “Lo spread è sotto i 100 punti base, quindi i nostri titoli di Stato sono considerati più sicuri di quelli tedeschi”.
Un’affermazione falsa. È vero che lo spread è sotto i 100 punti, ma se i titoli di Stato italiani fossero davvero ritenuti più sicuri di quelli tedeschi allora lo spread dovrebbe essere sotto lo zero. A sottolineare la gaffe ci ha pensato la faccia dello stesso ministro dell’Economia Giorgietti, seduto di fianco alla premier, che alla frase “incriminata” ha scosso vistosamente il capo.
Università in sciopero
Lunedì 12 c’è stato lo sciopero di migliaia di ricercatori universitari precari. Hanno protestato contro la cosiddetta riforma Bernini, dal nome della ministra dell’Università, e contro un sistema che da anni li tiene in bilico tra contratti a termine, stipendi bassi e zero tutele. Il paradosso? Anche quando arrivano le riforme giuste — come quella del governo Draghi, che aveva promesso più stabilità — mancano i soldi per attuarle.
Oggi nelle università italiane ci sono 35mila ricercatori a tempo determinato, molti in attesa da anni di una stabilizzazione. La legge Draghi del 2022 aveva introdotto un nuovo contratto di ricerca più tutelante, ma molto più costoso per gli atenei. Risultato: pochissime assunzioni, perché i fondi sono insufficienti. Intanto, il governo Meloni ha tagliato 700 milioni di euro al fondo per le università da qui al 2027. Così il contratto stabile è rimasto un miraggio.
Ora la riforma Bernini vuole introdurre nuove figure ancora più precarie: professori “aggiunti” con contratti di 3 mesi, borse di ricerca a chiamata diretta, e poco o nulla in termini di diritti. Il tutto senza passare da concorsi pubblici, ma assegnando incarichi a discrezione di chi ha i fondi. Alla faccia del merito.
Rettori e governo dicono che serve flessibilità per assumere di più. I ricercatori rispondono: servono fondi veri. I numeri gli danno ragione: il nostro paese investe l’1,37% del PIL in ricerca, contro il 3% fissato dall’Europa.
Letture
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Social
Mercoledì il deputato Riccardo Magi è entrato nell’aula di Montecitorio vestito da fantasma. È stato trascinato fuori dai commessi mentre gridava verso Giorgia Meloni: “State boicottando i referendum!”.
Magi, leader di +Europa, protestava contro la campagna silenziosa del governo in vista dei referendum dell’8 e 9 giugno. Una campagna al contrario: niente dibattito, niente informazione, e un solo obiettivo non detto — far fallire il quorum, cioè l’affluenza minima del 50% necessaria per rendere validi i voti. L’invito all’astensione come strategia politica.
Il travestimento da fantasma non è casuale: fu Marco Pannella, storico leader radicale e maestro della protesta simbolica, a usarlo per la prima volta in TV, denunciando lo stesso meccanismo.
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