Distrattamente penso
Nelle puntate precedenti: soldi cash e POS rotti, i fondi per la legge di Bilancio sono sempre troppo pochi, quelli per i progetti del PNRR invece non siamo veloci a spenderli, stato di emergenza a Ischia, altre cronache da una paese diviso.
Sigla
Fatta la manovra di Bilancio è tempo di difenderla. Dall’ultima settimana la legge è stata presentata in parlamento, i vari provvedimenti (si tratta di circa 180 articoli) sono stati esaminati in quella che si dice fase di audizione (dove i politici possono confrontarsi con esperti di vario titolo). Infine è arrivata puntuale una pioggia di emendamenti da tutti i fronti: 3104 proposte di modifica, ben 617 arrivano dalla stessa maggioranza.
Ciò che è interessante da capire è che non tutte queste proposte di modifica verranno effettivamente discusse. Infatti prossimamente avverrà la scrematura degli emendamenti, di questi 3 mila solo 450 saranno effettivamente presi in considerazione. Si tratta di una sorta di distribuzione in quote: 200 sono per la maggioranza e 250 per le opposizioni, a sua volta ogni partito ne ha una quota a seconda del peso in parlamento.
Perché, dunque, i partiti producono molti più emendamenti di quelli che verranno considerati? Perché in questo modo i singoli politici mandano un segnale ai loro portatori d’interesse, ai loro gruppi di elettori. Il messaggio è “io propongo questa modifica perché rappresento chi la pensa così”, anche se poi è un passaggio inutile che fa solo perdere altro tempo. E il tempo qui è pochissimo. Ora che verranno selezionati gli emendamenti ci vorranno un paio di settimane per discuterli. Poi, quando saremo prossimi al Natale (22 - 23 dicembre), ci sarà la votazione degli emendamenti alla Camera. Uno a uno saranno enunciati e passeranno o saranno bocciati, a quel punto la legge sarà praticamente fatta. Qualche giorno dopo verrà votata con una pratica molto più veloce al Senato, e per l’anno nuovo sarà approvata.
Da un punto di vista politico c’è da aspettarsi che gli unici emendamenti a essere davvero presi in considerazione saranno quelli espressi dalla maggioranza stessa. I fondi a disposizione sono pochi, circa 400 milioni di euro, per fare quei ritocchini tipo, ad esempio, le pensioni minime che Forza Italia vorrebbe portare a 600€ mensili. Si capisce, dunque, che la maggioranza che sostiene il governo Meloni ha tutti i numeri per votare la legge di Bilancio più gradita. 450 emendamenti sono comunque grande materia di dibattito, alcuni potrebbero passare come forma di piccoli dissensi interni alla maggioranza, ma insomma. La verità è che una manovra del genere avrebbe bisogno idealmente di almeno un paio di mesi per essere discussa, e invece questa prassi è caduta in disuso già da anni. Il governo Meloni ha almeno la scusa che è figlio della prima elezione repubblicana tenutasi in autunno.
Denaro contante
Attualmente credo che l’unica reale opposizione al governo Meloni sia Silvio Berlusconi. Non che gliene dia merito, ma la sua azione interna volta a ritagliarsi un posto al sole nella maggioranza è l’unico elemento d’incertezza per la legge di Bilancio così com’è stata scritta. Dall’opposizione vera e propria invece non c’è questa grossa levata di scudi. Il PD è impegnato a pesarsi internamente in vista del congresso di marzo che eleggerà il segretario dopo Enrico Letta. Il terzo polo di Calenda e Renzi strizza l’occhio al governo e potrebbe addirittura sostenerlo col suo voto, qualora dovesse mancare quello di Berlusconi. Il Movimento 5 Stelle continua la sua virata a sinistra con Conte in rinnovata versione avvocato del popolo. In settimana l’ex premier ha guardato la prima della Scala di Milano in tv presso una struttura per senzatetto come forma di protesta contro il benessere delle élite rispetto alla condizione del paese reale. La mia suggestione è che gli elettori di sinistra guardino con più entusiasmo a questo posizionamento sempre più mancino del Movimento piuttosto che al prossimo cambio della guardia interno al Partito Democratico.

Forse la critica più impattante alla manovra di Bilancio l’ha mossa, almeno negli ultimi sette giorni, la Banca d’Italia che ha ritenuto le misure sull’utilizzo del denaro contante in contrasto con la lotta all’evasione fiscale. Nonostante questo l’impressione è che al governo Meloni vada bene che il tetto al contante e il limite minimo di pagamento col POS siano i temi al centro del dibattito. Poiché alla fine non sono provvedimenti così importanti. Per quanto di principio contrari alla lotta all’evasione non si tratta di provvedimenti che spostano più di tanto l’equilibrio (come si suol dire, chi vuole evadere trova il modo per farlo). Sui pagamenti con carta, questi continueranno comunque, probabilmente, a crescere in virtù del fatto che offrono più vantaggi: sono comodi per l’acquirente, sicuri per il commerciante che non deve tenere troppo incasso liquido in cassa, e chi è in buona fede sa che le commissioni (anche sui pagamenti più piccoli) non sono un costo che giustifica la perdita di un cliente che non ha voluto pagare la colazione in soldi cash. Ma intanto è conveniente che se ne parli come se da questo dipendessero le sorti del paese, evitando un dibattito più approfondito su, ad esempio, la fine del reddito di cittadinanza o la riforma delle pensioni.
Multe ai no vax
C’è modo e modo di fare le leggi, a volte i governi si impegnano a trovare quello meno elegante, per così dire. Nel decreto anti rave, quello contro le feste clandestine, il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ha fatto inserire una proroga per il pagamento delle multe di 100€ arrivate ai no vax. Avranno tempo fino a giugno 2023 ma ovviamente nel frattempo si troverà un altro modo per evitare che debbano pagarle. Non so quanto sia voluto come messaggio politico ma il succo è quello: un premio per i no vax inserito nel decreto che punisce i party fuorilegge, perché un ventenne sballato e felice che balla è molto più pericoloso di un medico che non crede nei vaccini.
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