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In questo grande Matrix che è diventata l’esistenza umana, aggiungiamo un nuovo stress test per valutare la resistenza del pianeta. Donald Trump è il nuovo (di nuovo) presidente degli Stati Uniti d’America, e sopravvivremo anche a questa, fino a che questa affermazione diverrà più una speranza che una certezza.
Questo non è un giudizio di merito, anzi. Trump è il massimo rappresentante dell’estrema destra al potere nel mondo occidentale (era così anche 8 anni fa), vero, ma innanzitutto gli va riconosciuto di aver meritato di vincere. E se non per merito suo, quanto meno per demerito degli avversari. Perché la campagna elettorale americana è una cosa seria, serissima, per la quale si muove uno spaventoso mare di denaro. Difficile inserirsi già in corsa, a un mesetto dalle elezioni, e pensare di vincere. Certo dirlo ora è facile e vale poco, ma forse Kamala Harris non ha mai avuto una concreta chance di vittoria.
Drill baby drill
Non è un giudizio di merito, dicevamo, ma un’analisi molto semplice delle politiche trumpiane, quelle che furono e quelle che probabilemente saranno. Su tutte, a proposito di sopravvivenza, le politiche climatiche. Drill baby drill, trivella baby trivella, uno degli slogan usati da The Donald in questa campagna elettorale. Per Trump i combustibili fossi sono ancora attualissimi, altro che rinnovabili e batterie elettriche, con ogni probabilità ritirerà di nuovo gli USA dalla conferenza sul clima, la COP di cui abbiamo già parlato in passato e che l’11 novembre vedrà l’inizio della 29esima edizione. Insomma gli States torneranno a non curarsi delle emissioni di gas serra, e parliamo pur sempre di un paese che per larga parte della sua storia è stato il più grande inquinatore mondiale (oggi è secondo dietro la Cina).
Vengo in pace
Poi c’è il tema dei conflitti internazionali, sul quale Trump si propone come il grande pacificatore. Da un lato sembra accattivante l’idea di un mondo dove gli USA non siano più o meno arbitri di ogni guerra, dall’altro è bene chiedersi quale sarà il prezzo. Nel conflitto russo-ucraino, in primis, il neo-presidente ha più volte promesso di far sedere le parti al tavolo dei negoziati di pace. Per farlo però gli occupati dovranno fare delle concessioni agli invasori. Intanto la Russia ha lanciato un massiccio attacco con droni su Kiev, la capitale dell’Ucraina, poche ore dopo il successo di Trump. Un sadico modo per festeggiare, suppongo.
Sul fronte dell’occupazione militare della Palestina da parte di Israele le cose non andranno meglio, ma in questo caso credo non sarebbe andata meglio nemmeno se avesse vinto Kamala Harris. Il destino dei palestinesi non è nelle loro mani, ovviamente, ma al massimo in quelle dei paesi del Golfo (Arabia, Emirati…) e del Medioriente, su tutti l’Iran. Con quest’ultimo l’allora presidente Obama aveva cominciato un processo di pace che prevedeva la denuclearizzazione del paese (più specificamente l’eliminazione delle scorte di uranio, che serve appunto per alimentare l’energia nucleare). Un accordo che Trump abbandonò dopo nemmeno due anni dall’inizio del suo primo mandato da presidente.
Prima l’America
E poi ci sono i conflitti futuribili, penso in particolare alla Cina che da anni insidia l’indipendenza della vicina isola di Taiwan. L’ormai ex presidente Biden si era impegnato a proteggere il paese dalla minaccia cinese, Trump potrebbe lasciar correre nel rispetto del suo America first, viene innanzitutto prima l’America. Lo sa bene l’Afghanistan, paese abbandonato dagli States (e alleati, tra cui l’Italia) al regime dei talebani dopo 20 anni di presenza americana sul campo. Un addio attuato da Biden, ma precedentemente deciso da Trump.
Questo dell’America first è poi un mantra che il presidente vorrà far valere anche nell’economia, riprendendo la politica dei dazi doganali per le importazioni. Viviamo in un mondo in cui i veri no-global sono di estrema destra. Imponendo i dazi alla frontiera, ovvero tasse sui prodotti che vengono da fuori, caleranno le esportazioni verso gli Stati Uniti. Ciò scontenterà i paesi che hanno maggiori rapporti commerciali con il paese (tra cui anche l’Italia), e sconterà gli stessi americani che si troveranno a pagare prezzi più alti (meno concorrenza uguale prezzi più alti). Così tornerà a salire l’inflazione, ovvero il costo della vita che è proporzionale alla perdita del potere d’acquisto. E visto che ciò che accade economicamente negli Stati Uniti ha spesso un riverbero anche sull’Europa… w il mutuo a tasso fisso.
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Lo so, dopo tutta una tirata su Trump è quasi un’eresia, ma: Il fascino discreto di Berlinguer, intervista a Elio Germano che lo interpreta al cinema.
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