Sigla
Non sarà quella perfetta opera di distrazione di massa che è la separazione dei Ferragnez, ma anche la diatriba sul limite di tre mandati per gli amministratori locali ha il suo perché. Gli elementi ci sono tutti: le scelte di Roma contro l’autonomia dei territori, la spaccatura tra alleati di governo, la spaccatura (l’ennesima) dentro al Partito Democratico, un groviglio di leggi che solo la Corte Costituzionale può sciogliere. Il limite al terzo mandato appare così come un rebus difficile da decifrare, non solo per gli elettori ma anche per la stessa classe politica.
Emendamenti
Partiamo dalla fine. In commissione Affari costituzionali del Senato (le commissioni sono il luogo dove si scrivono le leggi prima di portarle al voto in Parlamento) è stato bocciato l'emendamento della Lega al decreto elezioni sul terzo mandato per i governatori delle Regioni. In sostanza il partito di Matteo Salvini chiedeva che i presidenti di regione potessero restare in carica per 3 mandati, ovvero per un massimo di 15 anni, invece del limite di 2 mandati attualmente in vigore.
La formula per convincere della bontà di questa proposta è la seguente: chi ha governato bene ha diritto alla possibilità di essere rieletto, lasciamo agli elettori la possibilità di deciderlo. I membri della commissione però non ne sono rimasti persuasi e hanno bocciato la richiesta di modifica della legge. Decisivo ai fini del respingimento (la votazione si è conclusa 16 a 4 per il no) il voto contrario dei rappresentati di Fratelli d'Italia e Forza Italia, alleati della Lega al governo.
Salvini era già stato avvisato dai compagni di esecutivo, trovando in particolare l’opposizione di Meloni. La Lega aveva già ritirato, sempre nel corso della settimana, un altro emendamento simile che però riguardava il limite di 3 mandati per i sindaci dei comuni con più di 15mila abitanti (anche per questi, ad oggi, la legge stabilisce un massimo di due mandati), dopo aver incassato anche in questo caso il no del governo. Sull’emendamento che riguardava i governatori, però, il partito salviniano non ha voluto fare marcia indietro, probabilmente per non mostrare una totale sudditanza alla leader di governo. Così, come da avviso, è arrivata la batosta in commissione.
In scadenza
Avevamo già spiegato che la contrarietà di Meloni alla possibilità di un terzo mandato è dovuta alla volontà di non rinunciare a candidare i suoi nelle roccaforti leghiste (Veneto, Friuli Venezia Giulia e Lombardia). Essendo partner di maggioranza del governo, infatti, spetterebbe a Fratelli d’Italia la scelta del nome candidabile per le prossime elezioni nelle regioni suddette. Una scelta che verrebbe a mancare se i governatori in scadenza potessero essere rieletti. Pensiamo, su tutti, al presidente di regione con la più alta percentuale di gradimento in Italia: Luca Zaia, governatore veneto. Fosse ricandidabile, per l’alleanza di destra sarebbe impossibile, politicamente parlando, proporre una scelta diversa dal suo nome.
Incassata la sconfitta, le reazioni interne alla Lega sono state, per così dire, all’insegna della sportività. Così pacate che qualcuno si è chiesto quale sia il vero disegno dietro all’azione kamikaze di Matteo Salvini, che ha ribadito come la bocciatura degli emendamenti sul terzo mandato non rappresentino un rischio per la stabilità dell’alleanza di governo. Luca Zaia, invece, ha chiosato dicendo che “la strada è ancora lunga”, ricordandoci che effettivamente la questione è tutt’altro che conclusa. Questo tentativo infatti è stato giudicato da alcuni troppo frettoloso, a ridosso delle elezioni europee. La bocciatura però non esclude che ci si possa tornare a riflettere in futuro, magari prima del 2025, data limite per i governi di Zaia e altri suoi colleghi presidenti.
A ognuno la sua
Proprio la figura di Luca Zaia infatti ci ricorda come il sistema elettorale delle regioni sia soggetto a un’impalcatura legislativa complessa e diversa a seconda del territorio. Innanzitutto la legge nazionale di riferimento rispetto al limite dei 2 mandati è la n.165 del 2004, che dice:
le regioni disciplinano con legge i casi di ineleggibilità nei limiti dei seguenti principi fondamentali: […]
f) previsione della non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del Presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto […].
Questa legge doveva essere recepita dai diversi ordinamenti regionali, e non tutti lo hanno fatto alla stessa maniera. Il Veneto, ad esempio, ha recepito la legge nel 2012 (approvando la nuova legge elettorale regionale) e ha tenuto conto del limite di due mandati. Ma, occhio, con un’altra norma si è stabilito che la legge valesse solo per gli incarichi presi dall’approvazione della legge in poi, quindi dal 2012. Luca Zaia è stato eletto per la prima volta nel 2010, quindi la legge non è stata applicata al suo primo mandato. Di conseguenza oggi il governatore veneto è al suo terzo mandato (unico in Italia). Mettiamo il caso che l’emendamento della Lega fosse passato (o che ne venga approvato uno simile in futuro); con lo stesso tipo di procedimento il Veneto potrebbe recepire la legge e rendere Zaia candidabile, potenzialmente, per altri 3 mandati (quindi 15 anni oltre ai, quasi, 15 che già sono trascorsi).
Altra casistica: Puglia, Campania e Liguria (tre regioni con presidenti “in scadenza”) hanno recepito la legge del 2004 ma senza fare riferimento al limite dei due mandati. Non è un caso che il presidente campano Vincenzo De Luca, con la sua solita tracotanza teatrale, abbia commentato la recente diatriba sul terzo mandato così:
Alla Campania dunque la cosa non riguarderebbe, e De Luca fa capire che in barba alla legge nazionale potrebbe ricandidarsi anche dopo il 2025. Dunque basta che una regione non legiferi per avere piena libertà? Non è così semplice, infatti il governatore sa che ricandidandosi andrebbe incontro ai ricorsi dei suoi avversari. La questione, in questo modo, arriverebbe fino alla Corte Costituzionale chiamata a decidere, per farla semplice, se in questo caso specifico la legge regionale può prevalere su quella nazionale.
A tutto campo
Peraltro De Luca fa parte delle voci a sinistra in aperto contrasto contro la decisione del PD di Elly Schlein di votare contro l’emendamento della Lega. Infatti 3 governatori “in scadenza” sono del Partito Democratico: De Luca, appunto, Michele Emiliano (Puglia) e Stefano Bonaccini (Emilia Romagna). La scelta finale di Schlein e compagni, dunque, scontenta una certa corrente del partito, con allegata l’accusa di seguire troppo la scia del Movimento 5 Stelle di Conte, che pure ha votato contro il terzo mandato.
Presidente De Luca su tutti i fronti, vale la pena ricordarlo, che la scorsa settimana, insieme ad altri 700 tra sindaci e amministratori ha manifestato a Roma per opporsi all'autonomia differenziata. Quando la folla in marcia verso Palazzo Chigi, sede della presidenza del Consiglio, è stata intercettata dalla polizia, De Luca si è immolato dicendo: “Fate venire qualcuno o altrimenti ci dovete uccidere”. Meloni, che era in Calabria per la firma di un accordo, ha detto: "se invece di fare le manifestazioni ci si mettesse a lavorare forse si potrebbe ottenere qualche risultato in più". Il De Luca pensiero viene rubato in un momento di distrazione, senza sapere di essere ripreso ecco la replica: "Senza soldi non si lavora. Str... a, lavori lei".
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