Un punto sulla guerra
Nelle puntate precedenti: le bollette si alzano e le buste paga calano, venti di guerra, effetti della legge di Bilancio, la Corte Costituzionale ha bocciato i referendum su fine vita e cannabis.
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In questa newsletter i temi di politica estera non trovano spazio quasi mai per una legittima scelta editoriale. Lo sviluppo degli ultimi eventi però è stato così totalizzante da concentrare tutta la nostra attenzione e le nostre paure. È normale che sia così e quindi oggi cominceremo a provare a fare un punto su come siamo arrivati a questa condizione e ora cosa ci aspetta.
Rapida escalation
Al termine della scorsa settimana sembrava che la Russia, nella figura autoritaria di Vladimir Putin, potesse ancora lasciare un piccolo spiraglio alla pace. Da qui all’effettiva dichiarazione di guerra contro l’Ucraina il passo è stato piuttosto breve. Le trattative infatti sono precipitate piuttosto velocemente:
Il 12/2 Usa ed Europa credevano ancora nella possibilità di una soluzione diplomatica, pur considerando possibile un attacco russo entro febbraio.
Il 13/2 Joe Biden (presidente americano) ha assicurato al presidente ucraino Volodymyr Zelensky che in caso di attacco sarebbe arrivato un intervento americano rapido e deciso.
Il 14/2 il portavoce di Putin dichiara che il dittatore russo è disponibile a negoziare, in realtà nel frattempo l’esercito russo continua ad ammassare truppe al confine con l’Ucraina.
Tra il 15/2 e il 16/2 ci sono diversi scontri tra soldati russi e ucraini nella regione del Donbass. Si tratta di una delle regioni più orientali dell’Ucraina, abitata prevalentemente da una popolazione filorussa che inneggia al ritorno nella Federazione Russa. Peraltro si tratta di una delle regioni più povere d’Ucraina.
Il 21/2 arriva la dichiarazione di guerra: Putin firma l’atto in cui riconosce l’indipendenza dall’Ucraina delle repubbliche separatiste Donetsk e Luhansk. In pratica si tratta di due territori di questo Donbass che anni fa si erano autodichiarate indipendenti dal governo centrale di Kiev. Finora nessun paese ne aveva riconosciuto l’indipendenza, rendendole di fatto repubbliche inesistenti. Nel momento in cui Putin riconosce l’istanza dei separatisti filorussi dichiara guerra all’Ucraina e comincia l’invasione.
Pochi analisti avevano pronosticato che nel giro di due giorni la Russia avrebbe proceduto a un invasione su larga scala. All’alba del 23/2 l’esercito di Putin ha attaccato dal Donbass (est), dalla Crimea (sud) e da tutto il versante nord sfruttando anche la porta aperta lasciata dalla Bielorussia, che di fatto è l’alleato militare della Russia. In meno di 48 ore l’esercito russo è arrivato a pochi km dalla capitale Kiev, diverse azioni militari hanno coinvolto i civili e pare che il numero delle vittime abbia già superato il centinaio di persone.
Analizzando la posizione delle forze in contrapposizione per ora vediamo la Russia in posizione dominante. Molti analisti sostengono che negli ultimi tempi l’atteggiamento diplomatico di Vladimir Putin rivelasse chiaramente intenzioni bellicose nei confronti dei paesi confinanti (l’Ucraina in particolare). Il pericolo è stato sottovalutato e così la Russia è arrivata preparata a questo momento mentre dall’altra parte non si è pensato alle dovute contromisure. L’attacco su larga scala rivela che Putin non ha mai avuto intenzione di sedersi al tavolo dei negoziati senza aver prima assunto una posizione di vantaggio sul campo di battaglia.
Dall’altra parte c’è l’Ucraina che ha un suo esercito, che in questo momento si sta difendendo con tutte le sue forze, ma che alla lunga non ha speranza contro la corazzata russa. Gli Usa non sembrano intenzionati a essere protagonisti di azioni di contrasto ma solo a fornire all’Ucraina supporto nella difesa. Stesso dicasi per tutta l’alleanza Nato di cui fa parte anche l’Italia. Quindi l’Ucraina è, di fatto, sola dal punto di vista militare. Per il momento la reazione degli alleati è stata quella di sanzionare gravemente la Russia dal punto di vista economico.
Perché la Russia è arrivata fino a questo punto?
Formalmente il motivo per cui è cominciato il conflitto è la richiesta dell’Ucraina di entrare a far parte della Nato. La Russia ha ritenuto questo come un pericolo per i propri confini, visto che a quel punto la Nato sarebbe arrivata fino ai confini occidentali del paese. Ovviamente si tratta di un motivo pretestuoso visto che l’eventuale entrata dell’Ucraina nella Nato sarebbe stata ancora molto lontana.
In realtà Putin deve aver progettato questa invasione per lungo tempo e gli eventi che viviamo oggi sono già stati ampiamente previsti dal presidente russo. Innanzitutto i sovietici fanno leva sul fatto che in alcune regioni ucraine ci siano ampie sacche di abitanti filorussi. Il primo intervento in tal senso fu la guerra di Crimea del 2014, quando la Russia conquistò la regione/isola al centro del Mar Nero. Un’annessione militare vera e propria che non è mai stata riconosciuta ufficialmente, ma che di fatto ha ristretto i confini dell’Ucraina.
Quando Putin ha lanciato l’attacco su larga scala ha detto di aver dato il via ad una missione di “demilitarizzazione e denazificazione” dell’Ucraina. Si tratta di dichiarazioni deliranti, pretestuose, che pongono la Russia sul piano dei paesi con cui al momento non si può avere nessuna relazione diplomatica.
Cosa succede ora?
Dal punto di vista militare il conflitto dovrebbe continuare a coinvolgere solo l’esercito russo e quello ucraino. Considerato che le truppe di Mosca sono praticamente già arrivate a Kiev è difficile sapere quanto l’Ucraina potrà resistere. Lo scontro tra Russia e alleati occidentali invece (Europa e Usa) si consumerà ancora per un po’ solo dal punto di vista economico.
Da una parte la Russia ha una moneta in totale declino e si trova isolata sul mercato finanziario (anche se la Cina ha assunto una posizione neutrale e la Turchia non si è ancora sbilanciata). Per il momento la distribuzione del gas verso l’Europa non è stata sospesa, ma il secondo gasdotto North Stream 2 (quello che non passa dall’Ucraina) per ora non sarà messo in funzione.
Dall’altra parte gli Stati europei soffrono per la scarsità degli arrivi di gas, materia prima che ormai ha raggiunto prezzi record. Le sanzioni inferte alla Russia sono armi a doppio taglio che finiscono per colpire indirettamente anche l’Europa. Si prospetta una sorta di guerra di logoramento per capire se resisterà di più il tessuto economico europeo o quello russo. Inoltre in un momento in cui la Russia ha dato segno di poter procedere anche nei modi più insospettabili, nessun paese può dire di essere assolutamente fuori pericolo.
Infine entriamo nel campo delle speculazione: cosa vuole Putin per fermarsi? Azzardo che in questo momento le condizioni della Russia per il ritiro delle trippe dal territorio ucraino sarebbero: resa dell’Ucraina; destituzione del governo ucraino (in modo da provare a insediare un nuovo governo fedele a Mosca); impegno dell’Ucraina a non entrare nella Nato; annessione di nuovi territori, soprattutto quel territorio a sud che comprende il Donbass e che arriva fino alla punta Nord della Crimea.
Fine dello stato di emergenza
Il governo non prolungherà lo stato di emergenza per il covid oltre il 31 marzo 2022. Non fosse stato per la convergenza del conflitto a est questa sarebbe stata una gran bella notizia. La pandemia è in fase di regressione. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità la fase acuta della pandemia potrebbe essere finita entro metà anno. Dopo il mese di marzo sarà dunque revocato l’obbligo di mascherina all’aperto, da vedere invece come legifererà il governo sul prossimo decreto riguardo l’obbligo vaccinale per gli over 50.
L’imminente conflitto ha avuto “il merito” di compattare le posizioni nel governo italiano, una convergenza che non si ammirava da un po’. Sembra che tutte le forze politiche abbiano scelto l’armistizio per affrontare con compattezza le sfide dall’attualità. In realtà nelle scorse settimana il governo aveva scricchiolato per essere andato sotto in diverse votazioni (riguardanti emendamenti del decreto Milleproroghe). Di recente il governo ha stanziato altri 6 miliardi per l’aumento della spesa in bolletta.
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Il Tweet

Con questo tweet il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky ha risposto a una dichiarazione di Mario Draghi, che diceva di non aver ricevuto risposta all’appuntamento telefonico delle 9:30 con il presidente sotto assedio. Ovviamente l’intenzione di Draghi era quella di sottolineare la gravità del momento e la difficile situazione attuale del paese. La risposta di Zelensky però svela il malcontento rispetto ai mancati aiuti e dice nel tweet: “La prossima volta proverò a spostare la guerra per rispondere puntuale alle chiamate di Draghi”. Si tratta chiaramente di un malinteso che però rivela i paradossi di una guerra combattuta al tempo dei social. Aspetto particolare è che abbiamo molto informazioni che arrivano per via orizzontale, dai contatti di chi è presente nelle città ucraine sotto assedio. Ma scarseggiano le notizie ufficiali che la Russia, da par suo, sta accuratamente evitando di fornire.