Vecchie abitudini
Nelle puntate precedenti: le richieste d’aiuto di Zelensky ai governi occidentali, Draghi spinge per portare l’Ucraina in UE, lo yatch di Putin ormeggiato in Toscana, un altro mondiale da guardare sul divano.
Sigla
Visto che nelle ultime settimane il numero degli iscritti è un po’ aumentato, e alcuni tra questi non sono miei parenti, volevo cominciare con un saluto: ciao a tutte e a tutti, questa è Poletichette, una newsletter che prova a riassumere i fatti salienti della settimana trascorsa. Fino a un mese e mezzo fa parlavamo solo di politica interna, poi è arrivata la guerra in Ucraina. Quindi c’è stata una decisa virata sugli esteri e una certa abbondanza di editoriali umorali per cui stranamente nessuno ha ancora fatto reclamo. Benvenuti e spero che il servizio sia di vostro gradimento (altrimenti lamentatevene su Twitter e al bar, ma non disiscrivetevi 🙏).
A proposito di copertura mediatica sul conflitto russo-ucraino, va detto che un mese fa sarebbe stato difficile parlare d’altro anche a volerlo. Non solo per una questione emotiva ma soprattutto per scarsità di altre notizie. Più di recente, invece, l’impressione è che il focus sulla guerra si stia facendo meno intenso, che ricominci a sentirsi l’urgenza di parlare anche d’altro. Da una parte veniamo desensibilizzati al dramma attraverso un racconto quotidiano incessante e straziante, dall’altra in realtà stiamo accusando il colpo e cominciamo a dover tirare il fiato. Una riedizione di ciò che abbiamo vissuto nel primo lockdown, parallelismo già fatto qualche settimana fa. Tutto questo per dire che in fin dei conti è stato bello quando questa settimana la nostra classe politica ha ricominciato a litigare, a far scricchiolare il governo, a spargere quell’odorino di crisi che serve a tenerci tesi e vigili. Anche se è tutta una pantomima, anche se abbiamo spiegato più volte perché questo governo raggiungerà la fine della legislatura (vitalizi, remember?), è stato frizzante ma rassicurante. Perché la politica è una cosa serissima come una telenovela senza fine, e non come un film di guerra che dura da 40 giorni.
Alle armi
Venerdì il parlamento ha accordato la fiducia al governo sul decreto Ucraina con 214 voti favorevoli 35 contrari. Il decreto impegna l’Italia a partecipare alle operazioni Nato, una sorta di missione speciale da attuarsi in caso di emergenza, fino a fine settembre e a donare all’Ucraina armamenti non letali fino a fine anno. Durante la votazione alcuni senatori hanno esposto dei cartelli “no alle armi”, riferendosi all’impegno del paese a raggiungere il 2% del PIL per le spese militari. Un obiettivo che i paesi aderenti alla Nato hanno preso nel 2014 e che conseguirà anche l’Italia entro il 2028.
Sul punto però si è fatto sentire Giuseppe Conte che a nome del M5S si è detto contrario alla misura almeno per quanto riguarda i tempi. Non è del tutto chiaro come siano andate le cose, ma il sunto dovrebbe essere questo: Fratelli d’Italia (il partito di Giorgia Meloni) proponeva che il monte di spesa fosse raggiunto entro il 2024, così come era stato deciso quando nel 2014 fu assunto l’impegno con la Nato. Conte riteneva l’obiettivo irrealizzabile e da lì è nato lo scontro con Mario Draghi e la maggioranza. La proposta del M5S era di raggiungere la soglia del 2% nel 2030, pare che alla fine l’accordo sia arrivato sul 2028. Draghi però ha dichiarato che nel documento ufficiale della legge veniva già riportato il 2028 come data ultima. Va ricordato inoltre che anche nei due governi Conte la spesa militare ha continuato a crescere gradualmente. Insomma questa polemichetta sembrerebbe stata usata dal leader M5S per rinforzare la posizione del partito nella maggioranza. Non a caso il PD di Enrico Letta ha definito la posizione dell’alleato “irresponsabile”. La risposta di Conte a Letta è stata: “Non posso accettare, come leggo sui giornali dal Pd, che noi saremmo irresponsabili o inaffidabili. Non funziona così, non siamo la succursale, non siamo succedanei a nessuno”.
Al di là di questo scontro, che sembrerebbe rientrato, è certo che una questione così delicata meriterebbe una discussione in aula più approfondita. D’altronde, come detto, l’accordo è stato preso 8 anni fa e le circostanze non favoriscono eventuali ritrattazioni.
Pronto, parlo con il signor Putin?
La settimana politica è stata arricchita da ulteriori eventi e scontri. Sullo Ius Scholae, ad esempio, è caduta una pioggia di ben 700 emendamenti. Lo Ius Scholae è una proposta di legge che prevede di dare la cittadinanza italiana a chi nasce o arriva nel paese prima dei 12 anni e porta a termine un percorso scolastico di 5. Molto simile allo Ius Soli1, sarebbe un modo come un altro per cominciare a risolvere la penosa questione dei ragazzi nati da genitori stranieri che non hanno la cittadinanza italiana prima dei 18 anni. Per il momento l’iter della legge è difficile e bloccato in una commissione della Camera. In settimana la Lega di Salvini ha prodotto, da sola, 480 emendamenti dichiarando di non considerare minimamente una mediazione.
Mercoledì Draghi era a Napoli per presentare il patto di governo con la città. Dal PNRR infatti lo Stato preleverà 1 miliardo e 231 milioni di euro in 20 anni per sanare il dissesto economico del comune. Napoli infatti è una delle amministrazioni comunali più indebitate d’Italia. Il neo sindaco Gaetano Manfredi (alleanza PD - M5S) prima di accettare la candidatura aveva strappato l’impegno da parte dei leader Letta e Conte a lavorare per far arrivare dal governo i soldi per sanare il bilancio. E così è stato, a Napoli ci saranno anche tanti investimenti, una bella notizia che visti i precedenti solleva (almeno nel sottoscritto) anche molte preoccupazioni.
Ciliegina sulla settimana di Draghi è stata la telefonata fatta a Putin nella quale il premier ha esordito dicendo: “la chiamo per parlare di pace”.
Bollettino di guerra
E invece Putin alla pace non ci pensa proprio, ma non è il solo. Lo scorso weekend il presidente americano Biden era in Polonia, paese che ospita diverse truppe statunitensi è che rappresenta il principale approdo per i profughi ucraini. Dopo 38 giorni di guerra il numero di questi ultimi è salito a oltre 4 milioni. In un incontro con i fuggiti dal paese Biden dev’essersi fatto prendere dal pathos e ha definito Putin un macellaio che non può restare al potere. Una roba da diplomazia tagliata con l’accetta, una roba che l’avesse detta Putin saremmo nei rifugi antiatomici. Questo per dire che l’atteggiamento americano sembra, al pari di quello russo seppur in modo meno esplicito, più teso al proseguimento del conflitto che alla pace.
D’altronde gli Stati Uniti si giocano il loro ruolo di garanti dell’alleanza atlantica e della Nato contro un nuovo ordine mondiale che guarderebbe più a oriente. Ma soprattutto non sono gli USA a essere dipendenti per quasi metà del loro fabbisogno energetico dalla Russia. Quelli siamo noi, l’Europa, e Putin ha confermato che vuole ricevere pagamenti in rubli. In realtà anche questo sembrerebbe un modo per fare la voce grossa ma in modo sterile. Vediamo perché: i pagamenti che arrivano alla Russia per le materie prime energetiche passano dalla banca di Stato Gazprombank. Questa è già abituata a convertire l’80% delle entrate in rubli, passerà al 100%. Per i compratori europei sarà aperto un secondo conto, loro caricheranno euro e dollari sul loro solito, la banca passerà i soldi sul secondo conto in rubli e poi li porterà sul proprio, in questo modo il pagamento risulterà effettuato in rubli. Al di là del braccio di ferro tra Europa e Russia il senso di tutta questa manovra non è chiarissimo. Il ruolo di Gazprombank resta però centrale visto che è l’unica banca che può continuare a fare affari con l’occidente.
Concludiamo con qualche segnale di una bozza di pace sempre più concreta. L’Ucraina ha proposto una propria neutralità ma con una garanzia: in caso di attacco sarà protetta da Regno Unito, Cina, USA, Francia, Polonia, Canada, Israele e anche Italia. Purtroppo nella giornata di venerdì si è diffusa la notizia di un attacco ucraiano a un deposito petrolifero russo presso la città di Belgorod. Kiev ha smentito l’attacco, Mosca dice che peserà sui prossimi negoziati.
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Il Tweet

Una delle parentesi peggiori dell’infotainment2 italiano nell’ultimo periodo è il ruolo degli accademici nei talk show, vere e proprie arene gladiatorie. Ormai è confermato l’adagio, che già si notava nel periodo dei novax, che nella maggior parte di queste trasmissioni si dia egual peso a tutte le posizioni, anche quelle più estreme. Nella puntata di martedì di Carta Bianca, ad esempio, era presente il prof. Alessandro Orsini, sociologo della Luiss, che aveva sostenuto pochi giorni prima che "questa è una guerra persa in partenza. O noi diamo a Putin quello che vuole o lui se lo prende lo stesso". Collegato da casa c’era anche il prof Emanuele Parsi che, disturbato dalle opinioni troppo superficiali (a suo dire) a un certo punto ha deciso di abbandonare la trasmissione. L’impressione è che questi format televisivi gravitino sempre più intorno al colpo di scena e all’elemento disturbante, mentre si allontanano dalla possibilità di mettere in scena un bel dibattito (che però non guarderebbe nessuno, ammettiamolo🙃).
Sigla
Altra legge che non è mai stata approvata. Prevederebbe di dare la cittadinanza italiana a chiunque nasca qui.
informazione e intrattenimento.