Cosa c'è nella legge di Bilancio?
Nelle puntate precedenti: poveri come nel 1983, il costa della vita è salito del 12% rispetto a un anno fa, punto sulla guerra, com’è andato il G20? Così così, ma la Meloni ha portato la figlia con sé regalandoci una settimana di polemichette come si deve.
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Questa settimana parliamo di legge di Bilancio, il provvedimento che per prassi cade alla fine dell’anno e decide le coperture economiche per quello venturo. Il governo Meloni ha avuto molto poco tempo per lavorarci considerato che il suo insediamento è avvenuto da circa un mese. Nonostante questo l’esecutivo ha messo le mani in pasta ovunque era possibile per sottolineare ancora una volta che questo è un governo politico che rispetta le promesse fatte in campagna elettorale (almeno questo è come la si vuole vendere).
Per carità, le scelte veramente politiche sono quelle più divisive, che fanno più discutere e che a volte fanno perdere il senso di cosa è giusto o è sbagliato. Però almeno il decisionismo del governo Meloni, che ha i numeri per essere decisionista, è qualcosa di più di quello che offrono dall’altra parte. La minoranza è di fatto una tettonica a placche di partiti che si scontrano e si sgretolano ma non riusciranno mai a fare un continente. Perché sono vanitosi, e non hanno un quadro di valori comune. In realtà fanno vinta di non averlo poiché nelle rappresentanze personificate di Conte, Letta, Calenda, Renzi … esiste uno status molto simile che è quello di un agio economico sociale che molti altri possono solo sognare. Questo per dire che a ovest, cioè a sinistra, c’è il deserto e quindi l’unico reale ostacolo della legge di bilancio sono le coperture economiche.
Il piano prevede uno stanziamento di 35 miliardi di euro, che potrebbero essere un po’ troppi per il peso sul deficit ma questo poi lo vedremo quando le cifre saranno certe. La legge di Bilancio infatti è ancora una bozza da valutare. Composta da 136 articoli (qui il testo integrale), è un’opera omnia di cui in questa newsletter cercheremo di analizzare i più importanti.
Prima una nota sui tempi, che sono follemente stretti. La legge è stata votata dal Consiglio dei ministri lunedì 21 novembre, il testo dovrà essere approvato entro il 30 novembre da Camera e Senato, poi spedito a Bruxelles (per essere esaminato dalla Commissione europea). L’Europa darà il suo parere, la legge torna in Parlamento per essere limata, modificata, ri-votata entro il 31 dicembre. Se questo limite non viene rispettato si comincia l’anno in esercizio provvisorio, ovvero si resta a quanto stabilito nella precedente legge (finché non si approva quella più recente).
Reddito di cittadinanza
Dal primo gennaio 2024 il RdC non ci sarà più. In realtà sarà sostituito da una nuova forma di assistenza che verrà studiata il prossimo anno, ma questo solo per chi non può lavorare. Per gli occupabili invece (tra i 18 e i 59 anni, con famiglia senza disabili, minori o over 60) comincerà una progressiva riduzione del sussidio. A questi il Reddito verrà riconosciuto per altri 8 mesi durante i quali dovranno presenziare a corsi di formazione (pena perdita assegno). Con questa stretta si risparmieranno 734 milioni di euro nel prossimo anno.
Chi sono questi che perderanno il Reddito? Ho trovato qualche numero approssimativo: secondo l’agenzia stampa parlamentare Public Policy, la relazione tecnica che accompagna il disegno di legge di Bilancio per il 2023 stima che circa 404 mila nuclei familiari rischiano di perdere il reddito di cittadinanza dopo il mese di agosto 2023. Secondo l’Inps a settembre 2022 i nuclei familiari che percepivano il reddito di cittadinanza erano circa un milione e 40 mila, con oltre due milioni e 315 mila persone coinvolte. L’importo medio del sussidio mensile era di quasi 582 euro. Secondo Anpal (Agenzia nazionale politiche attive lavoro) al 30 giugno 2022 erano oltre 660 mila i percettori del Reddito tenuti a sottoscrivere il cosiddetto “Patto per il lavoro”, ovvero un percorso di inserimento lavorativo a cura dei centri per l’impiego. 172 mila invece i percettori di reddito già occupati, quindi con lavoro a basso reddito. In totale a perdere ogni tipo di assistenza saranno, stando a questi numeri, circa 850 mila persone.
Restiamo sui 660 mila: circa 481 mila (il 72,8%) non ha avuto un contratto di lavoro dipendente o in para-subordinazione nei tre anni precedenti il 30 giugno 2022. Quasi 86 mila percettori, il 13%, aveva avuto un contratto cessato nell’anno precedente. Il 70,8% dei 660 mila percettori occupabili ha al massimo il titolo della scuola secondaria inferiore (terza media). Solo il 2,8% è laureato, mentre il 26,4% ha un diploma di scuola superiore. Insomma non hanno lavorato per 3 anni, hanno la terza media, una buona parte non si è mai fatta vedere dalle parti dei centri per l’impiego. Vogliamo chiamarli fannulloni? Ok, ma il segreto di Pulcinella è questa gente l’anno prossimo non avrà né un lavoro né una rendita.

Pensioni
Attualmente la pensione per anzianità spetta a 67 anni, ma si può richiedere quella anticipata a 64 anni e almeno 38 di contributi. Questa si chiama Quota 102, l’anno prossimo entra in scena invece Quota 103: 62 anni e almeno 41 di contributi. La possibilità di avere la pensione anticipata è solo per quegli assegni che non superano 5 volte la quota minima, quindi non più di 2600 euro circa. La pensione minima, appunto, fa anch’essa parte della legge e sale a 580 euro (Berlusconi, che in campagna elettorale si è speso molto sulle pensioni, voleva arrivare a 600 e forse verrà accontentato). In più c’è un incentivo del 10% per chi ha diritto alla pensione anticipata ma resta a lavorare.
Niente di che, i lavoratori che va a toccare la legge sono quasi gli stessi di quota 102 (che era stata istituita dal governo Draghi). La vera riforma è rimandata a quando qualcuno vorrà davvero mettere mano in senso organico a tutto il sistema pensionistico (ce n’è un gran bisogno). Molto più interessanti potrebbero essere i tagli alle pensioni più alte nel sistema di rivalutazione per far fronte al caro vita, se verrà confermato. In pratica fino a 2100 circa di pensione il governo rivaluterebbe l’intera somma adeguandola ai nuovi prezzi. Da quella soglia in poi l’Inps ne prenderebbe in considerazione solo una parte. Per dire: una pensione 10 volte la minima, circa 5300€, subirebbe una rivalutazione di ‘solo’ il 35% di tutta la somma. Sembra poco, ma con questo taglio si risparmiano miliardi (infatti stento a credere possa diventare realtà, eppure è nella bozza nero su bianco).
Flat tax e voucher
Rispetto al cuneo fiscale, ovvero la percentuale di tasse che pagano i lavoratori, ecco le novità:
I dipendenti con stipendio fino a 20mila euro lordi annui pagheranno il 3% in meno (quindi in totale il 6% in tasse). Per quelli tra 20 e 35mila euro annui non cambia nulla.
Per gli autonomi c’è la tassa piatta al 15% fino a un massimo di 85mila euro lordi annui dichiarati. Prima il limite era di 65mila euro, si calcola quindi che per il momento il provvedimento interessa circa 100mila partite Iva in più.
Va comunque osservato che il risparmio per un professionista che arriva a guadagnare 80 mila euro annui è impressionante, nell’ordine di una decina di migliaia di euro. Proprio una fascia di popolazione che aveva bisogno di un po’ di respiro.
6mila euro di contributo (in forma di detassazione) per le aziende che assumono a tempo indeterminato un under 35.
Poi c’è il ritorno in pompa magna dei voucher, uno strumento che era stato cancellato nel 2017 dal governo Gentiloni. In sostanza i voucher sarebbero una modalità di pagamento del lavoro occasionale, che dovrebbe combattere le prestazioni pagate in nero. Dal primo gennaio il voucher tornerà per i settori dell’agricoltura, l’industria alberghiera, la cura della persona, i lavori domestici. Gli assegni avranno un valore di 10 euro lordi e 7,5 netti, possono essere accumulati dal lavoratore fino a un massimo di 10 mila euro annui. Il tetto delle prestazioni occasionali dunque viene raddoppiato rispetto al passato. Le critiche mosse a questo strumento sono state che i voucher sono completamente esentasse e utilizzabili senza limite dal datore di lavoro, che ne può fare uno strumento di sfruttamento.
Questi tre sono gli aspetti apparentemente più importanti della manovra, quelli che dicono cos’è il governo Meloni in ambito economico. Ma non dimentichiamo che la parte più corposa dei 35 miliardi, ben 21 di essi, è stanziata per foraggiare le misure stabilite dal governo Draghi per fronteggiare la crisi energetica. Insomma, la coperta è corta e questo è il risultato: interventi sparsi ma senza incidere troppo. Ovviamente chi perderà il reddito l’anno prossimo non sarà d’accordo con questa affermazione.
Di seguito ulteriori interventi scritti nella bozza della legge di Bilancio (che approfondiremo ancora, e ancora, e ancora🙃:
Assegno unico familiare: per il primo figlio ci sarà un aumento, per le famiglie dai 3 figli in su c’è addirittura il raddoppio della quota (da capire meglio le cifre).
Dal primo gennaio si può pagare in contanti fino a 5mila euro. I commercianti avranno diritto a rifiutare pagamenti con pos fino a 30€.
Condono per le cartelle esattoriali dal 2000 al 2015 per importi dovuti sotto i mille euro.
Non ci sarà l’Iva azzerata per pane, pasta e latte. Piuttosto saranno date delle ‘carte risparmio’ alle famiglie con reddito massimo di 15mila euro. Iva ridotta al 5%, invece, per pannolini, biberon, omogeneizzati e, marameo alla sinistra che aspetta e sogna, pure gli assorbenti al 5%.
Confermato l’azzeramento per gli oneri di sistema in bolletta, non è chiaro per quanti trimestri (sicuramente fino a marzo). Per quanto riguarda la tassa sugli extraprofitti (cosa sono?) delle aziende energivore, quelle che producono energia, l’idea è di passare dal 25% imposto da Draghi al 35%. La tassa però agirebbe non su tutto il fatturato delle aziende ma solo sugli utili (il che, a occhio, dovrebbe portare a un recupero di somme inferiori a prima).
Lo sconto delle accise sui carburanti passa da 30,5 centesimi a 18,3 centesimi di euro.
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Chiudiamo con una Meloni polemica nella conferenza stampa di presentazione della legge di Bilancio.
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