Smart WARking
Nelle puntate precedenti: la rapida escalation della guerra in Ucraina, l’invasione su larga scala, perché la Russia è arrivata fino a questo punto, cosa succede ora, fine dello stato di emergenza per il coronavirus, tweet sotto le bombe.
Sigla
Siamo in guerra da 3 anni, se non ricordo male. All’inizio della pandemia, marzo 2020, gli ospedali si sono riempiti di colpo e ha cominciato a circolare l’annuncio che sì, eravamo entrati in guerra col nemico invisibile. La maggior parte di noi ha combattuto quella guerra dal divano e con lo smartphone come arma principale (al posto delle molotov il lievito madre). Poi la guerra, quella “convenzionale” per non dire quella “vera”, è arrivata sul serio. Una guerra sul terreno del nostro continente, un altro avvenimento storico a cui la stragrande maggioranza di noi non aveva mai assistito. Anche stavolta combattiamo in smart working, il bombardamento che subiamo è quello delle notizie (vere o false) e delle decine di migliaia di opinioni. Con ciò non voglio affermare che sarebbe meglio toccare con mano, provare sulla propria pelle la catastrofe, ma tutta questa virtualità comincia a dare alla testa. Possiamo ricevere ogni 10 minuti un aggiornamento sulle battaglie nelle città ucraine, ma resta sempre il dubbio che non siano informazioni verificate. Questo malumore di osservare tutto e continuamente dai nostri piccoli schermi mi fa credere che siamo soltanto all’inizio di un altro bel problema. Sarà interessante scoprire tra 10 o 20 anni come saremo cambiati a furia di vivere in più luoghi contemporaneamente: il nostro presente fisico e tutti i nostri presenti virtuali.
Ciò che succede in questi giorni, invece, sa già di stantio. L’azione di Putin sembra un rigurgito storico che arriva dalla Seconda guerra mondiale, una scelta anacronistica (e criminale) che porterà alla sua fine politica. L’isolamento di un capo di stato è un lusso troppo caro nell’interconnesso sistema capitalistico. Questa forse è l’unica previsione certa sul futuro di questa guerra. In altre parole potrebbe essere l’ultimo eclatante atto di un agire diplomatico basato sull’uso delle armi, almeno per quanto riguarda i paesi europei. Aggiungo però che anche prima che la Russia invadesse l’Ucraina credevamo di esserci lasciati alle spalle l’epoca delle bombe nelle piazze delle città del vecchio continente.
Bonus polemica per ricordarci che siamo su Poletichette: a tutti quelli che non capiscono perché la guerra in Ucraina susciti empatia e vicinanza ben più forti rispetto ai conflitti in Siria, Yemen, Afghanistan, Palestina… Siete come persone vegane che non riconoscono la differenza tra mangiare il proprio cane e un hamburger del Mc. Male malissimo anche coloro che ora credono in un’Europa (eccetto la Russia) unita e solidale, basti pensare alla difficoltà che i profughi con la pelle nera stanno avendo per lasciare l’Ucraina ed essere accolti nei paesi confinanti.
Bollettino di guerra
La scorsa settimana abbiamo fatto un punto sull’equilibrio delle forze in campo e sulla solitudine dell’Ucraina chiamata a difendersi con le proprie forze. Avrete sicuramente sentito i vari elogi arrivati alla resistenza dell’esercito e del popolo ucraino, che sia in termini di organizzazione militare che di spirito resiliente hanno superato le aspettative (almeno quelle dei russi che, probabilmente, a questo punto speravano di essere più avanti nel progetto di occupazione). Nonostante si contino già duemila civili uccisi e le città proseguano a essere teatro dei bombardamenti, l’Ucraina resiste e continua a guadagnare tempo preziosissimo rubandone a Putin, che ne ha poco a disposizione. Resta la certezza che la Russia sia militarmente padrona del conflitto, ma a distanza di una settimana sembrerebbe molto più isolato Putin che l’assediato Zelensky. Riprendiamo il resoconto temporale della guerra:
Nel weekend (26 e 27 febbraio) Vladimir Putin ha ordinato di mettere in allerta le forze di deterrenza nucleare russe. Un’azione gravissima dal sottotesto preoccupante: “la Russia è disposta a tutto”. Ma è davvero così? Per il momento le possibilità sembrano davvero minime, anche se una minaccia del genere non fa che inasprire la trattativa diplomatica. Infatti la risposta dell’Europa non si è fatta attendere: diversi paesi UE invieranno armi in Ucraina per un valore di mezzo miliardo di euro. C’è anche un sostanzioso contributo italiano. È la prima volta nella storia che l’UE aiuta militarmente un paese fuori dall’Unione. A proposito di eventi storici, la Germania stanzierà 100 miliardi di euro in Difesa e ha portato il budget per le spese militari da 1,5% al 2% del PIL. Un messaggio abbastanza chiaro a Putin: se l’intenzione è espandersi verso ovest i tedeschi si faranno trovare pronti.
Il 28/2 Luigi Di Maio, ministro degli Esteri, si è recato in Algeria su invito del governo locale per discutere di approvvigionamento di gas. Il paese africano rifornisce l’Italia per il 28,4% del fabbisogno di gas e ha dato la propria disponibilità ad aumentare le forniture. È una buona notizia, ma nella pratica questo aumento di gas dall’Africa non avrà tempi così rapidi. Nella stessa giornata si incontrano in Bielorussia due delegazioni di Ucraina e Russia per cominciare a discutere di una soluzione al conflitto. I risultati del dialogo sono scarsi.
Intanto l’effetto delle sanzioni ha cominciato a colpire con violenza l’economia russa: lunedì la Borsa di Mosca non ha aperto (e non lo ha fatto per tutta la settimana) per evitare una corsa alla vendita delle azioni1, il rublo (moneta russa) ha dimezzato il suo valore e le persone hanno preso d’assalto i bancomat. Contestualmente il mondo dello sport ha isolato la Russia: fuori le squadre di calcio (club e nazionale) da tutte le competizioni internazionali; gli atleti paraolimpionici russi non possono partecipare alle paraolimpiadi cinesi attualmente in corso.
Della giornata di martedì 1/3 colpiscono le foto di una fila di 64km composta da mezzi militari russi alle porte di Kiev. Segno che l’aviazione ucraina ha capitolato e che la Russia si prepara all’occupazione della capitale (cosa che tuttavia non è ancora avvenuta). Zelensky, presidente ucraino, è intervenuto telematicamente in una seduta plenaria del parlamento europeo con un discorso appassionato sulla necessità di aiuti da parte del suo paese.
Il 2/3 l’Onu, Organizzazione delle nazioni unite, ha adottato una risoluzione che condanna l’invasione russa in Ucraina. Non ci si aspettava una tale compattezza: 141 voti a favore (tra cui la Turchia), 5 contro (tra cui Russia e Bielorussia), 34 astensioni (tra cui la Cina).
Il 3/3 la Russia conquista la prima città di grandi dimensioni ovvero Kherson (300 mila ab.) e prosegue l’avanzata. Si segnalano pericolosi bombardamenti nei pressi della centrale nucleare di Zaporizhzhia, che è stata conquistata. Secondo un report delle Nazione Unite i profughi ucraini che stanno lasciando il paese hanno superato il milione. A tal proposito nella serata si tiene un secondo incontro tra le due delegazioni di Russia e Ucraina. Stavolta l’esito è migliore infatti è stato stabilito una sorta di cessate il fuoco temporaneo e la costituzione di corridoi umanitari sicuri per l’uscita dei civili dal paese. Questa è da intendersi come una notizia positiva, ma non come il primo segnale dell’inizio della de-escalation militare. Molti analisti infatti ritengono che il peggio deve ancora venire.
Orizzonti
In questo momento l’esito della guerra sembra più basato sulla resistenza che sulla forza. L’invio delle armi in Ucraina serve proprio a questo: allungare la resistenza dell’esercito locale senza dichiarare guerra diretta alla Russia, attendendo che il nemico si fiacchi sotto i colpi delle sanzioni economiche. L’esercito ucraino deve prolungare il più possibile i tempi dell’occupazione, la comunità internazionale deve isolare in tutti i modi la Russia. In questi giorni sono arrivati diversi sequestri di beni ai danni di oligarchi russi (chi sono?2) in modo da inasprire i conflitti interni al governo russo. In parole semplici attualmente la speranza più realistica di una rapida fine del conflitto è affidata al “tradimento” che le persone più influenti dell’economia russa dovrebbero compiere nei confronti di Putin.
Non così uniti
Torniamo in Italia. A giudicare dalla decisione quasi unanime di inviare armi al fronte di guerra (una decisione non del tutto scontata) sembrerebbe che il governo sia compatto come mai. In realtà si sta consumando un grave scontro sulla riforma del catasto, soprattutto tra il governo e la Lega di Salvini. Lo scopo di questa riforma, che entrerebbe in vigore nel 2026, è quello di far emergere immobili e terreni non accatastati correttamente e, soprattutto, quelli “fantasma” che nel catasto proprio non risultano (e sui quali nessuno sta pagando le relative tasse).
La riforma è sintetizzata nell’articolo 6 della legge delega per la riforma fiscale (quindi fa parte di un provvedimento legislativo più ampio) che affida al parlamento il compito di legiferare su questo aggiornamento delle informazioni catastali. Il punto che preoccupa il centrodestra è che nel 2026 per molti ci sarà un aumento delle tasse sulla casa. Forza Italia, il partito più moderato del blocco di centrodx, ha proposto di concentrarsi solo sull’individuazione degli immobili fantasma, ma il governo ha tirato dritto. Quando si è votato in commissione il testo della riforma è passato così come lo ha voluto il governo, l’opposizione però è stata chiara: 22 contrari e 23 favorevoli. Ciò ovviamente lascia intendere che quando la legge approderà in parlamento ci sarà uno scontro politico.
Non essendo ancora stabilite le procedure di questo aggiornamento catastale non si può dire con certezza quale sarà l’entità dell’aumento delle tassazioni. Le varie proiezioni però sembrano concordare sul fatto che l’aumento ci sarà e sarà consistente. Le tasse aumenteranno perché l’attuale accatastamento non corrisponde ai reali valori di mercato, in più bisognerebbe capire se le tasse sugli immobili fantasma sono state tenute in conto nel calcolo di queste proiezioni (visto che in questo caso non si parla di aumenti ma di case su cui non si è mai pagato nulla 💩). Soprattutto bisognerà capire come questo aumento delle tassazioni peserà sulle varie fasce di reddito. Insomma segniamoci questo articolo 6 tra i temi che andranno presto approfonditi.
Altre Notizie
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In Ucraina ci sono degli italiani che combattono, in entrambi gli schieramenti.
Il Tweet

In questo video lo scrittore Paolo Nori denuncia che l’Università Bicocca di Milano ha sospeso il suo corso su Dostoevskij, tra gli autori russi più celebri dell’ottocento e figura tra le più influenti della letteratura moderna. Da questa denuncia è nata una forte onda di indignazione collettiva che considera una forma di censura inutile e deleteria quella di sospendere un corso di letteratura solo perché l’autore trattato è russo. La Bicocca ha poi parzialmente modificato la propria decisione sostenendo che il corso dovrebbe essere solo modificato, arricchendolo con la trattazione anche di autori ucraini. Quando si dice “la toppa peggio del buco”. Paolo Nori ha dichiarato che non accetterà questa sorta di insensata par condicio e che proporrà il suo corso su Dostoevskij ad altri atenei.
Sigla
Nel momento in cui un’economia va in forte crisi la prima reazione della popolazione è quella di ritirare il proprio denaro e mettere da parte la liquidità (per non vedersela svalutare). Allo stesso modo chi ha investito in azioni cerca di recuperare soldi vendendole, il che mette ancora più in crisi l’intero sistema facendo crollare il valore dei titoli in borsa.
Quando l’economia Russia è passata dal comunismo al “libero mercato” le grandi aziende statali sono state privatizzate. Il processo non è stato per nulla trasparente, difatti la gestione di queste aziende è passata in mano a uomini vicini al governo che sono diventati ricchissimi in poco tempo. Questi, gli oligarchi, rappresentano il “cerchio magico” di Putin, i sodali più vicini al dittatore. I loro interessi economici dipendono dalle scelte politiche del capo di stato, il futuro di Putin però dipende dal loro supporto incondizionato.